sabato 5 marzo 2016

Dobbiamo parlare di Kevin, Lionel Shriver

La storia di una famiglia americana, a suo modo tipica, ovvero: una moglie di origini armene, Eva, donna in carriera che ha ideato una collana di guide per viaggiare economicamente, e un marito, Franklin, fotografo pubblicitario, wasp integerrimo.
Le periodiche esplorazioni di Eva, alla volta di mete low – cost adeguate al suo target di turisti, si traducono in lunghe assenze dal tetto coniugale, le quali provocano l'insofferenza del marito e conducono la relazione a uno stallo. Eva pensa di rimediare con un bambino, che però Franklin non desidera affatto, e così rimane incinta con l'inganno; ma la maternità, che attendeva come un'evoluzione, un'epifania, la lascia... indifferente.
Franklin è un perfetto idiota, e durante la gestazione, impara a trattare la madre di suo figlio (quello che non voleva) con possessività, come temesse che Eva, attraverso tutti quegli atteggiamenti che lui considera “scorretti”, se non addirittura sconsiderati, possa danneggiare una sua proprietà, accidentalmente finita nel di lei grembo.
Kevin il neonato, quando finalmente fa la sua comparsa, è già l'incarnazione del male.
Un male sensuale e diabolico, affascinante, nella sua natura squisitamente contorta.
Ripensandoci (ovvero, una volta ripreso fiato, a fine lettura), non saprei dire quanto abbia trovato realistici i rapporti descritti in questo libro.
Fra Kevin e la madre avviene un continuo scambio di potere, di controllo: l'intesa è quella che intercorre fra due avversari dichiarati, due eterni duellanti, i quali non possono fare a meno di provare un misto di timore e ammirazione reciproca; l'ottusità di Franklin, che lo spinge in ogni occasione a considerare suo figlio immacolato come un angelo, e sua moglie una depravata anafettiva, potrebbe essere giustificata soltanto in una persona che si sente estremamente colpevole; mentre la tenacia con cui Eva sopporta le vessazioni del figlio da una parte, e le recriminatorie del marito dall'altra (soprattutto queste ultime), è quasi un esempio di martirio.
Kevin non è puerile nemmeno da bambino. È malvagio, vuoto, morboso, consapevole di sé e delle sue frustrazioni già dalla più tenera età. Calcolatore, intelligente, un piccolo asceta che rinuncia ad ogni avere perchè sa che chi non ha niente da perdere è invulnerabile. Non riconosce alcun tipo di autorità, è praticamente a prova di fascino, perciò incorruttibile, non genera mai le situazioni imbarazzanti, o goffe, tipiche degli infanti. È un bambino indipendente e distruttivo, la cui immaginazione viene stimolata esclusivamente dal dolore.
Nonostante le dramatis personae incarnino quasi degli ideali assoluti, non so attraverso quale meccanismo o magia, la Shriver è riuscita comunque a indagarne la psicologia con naturalismo disarmante; e così la staticità dei personaggi, che sono, sì, complessi, ma come “schierati”, avvinti al loro ruolo sin dal principio, viene completamente inabissata sotto uno strato di tensione costante; e solo verso il finale, quando i fatti comportano un violento cambio di prospettiva, ci si accorge di essere rimasti in attesa di una risoluzione sin dalle prime pagine.
SPOILER [A tal proposito, senza voler fare anticipazioni: devo ancora giudicare la rinuncia – o disfatta - di Kevin.]
Se il romanzo, da una parte, frusta il lettore, sospingendolo con forza da un capitolo all'altro, allo stesso tempo, esercita una pressione tale da imporgli delle pause. È una narrazione che va assunta in dosi, e la sconsiglio vivamente a chi è in dolce attesa, o stia attraversando un periodo di crisi familiare, poichè potrebbe influenzare un umore già instabile mooolto negativamente – se non dargli il colpo di grazia definitivo.
E con questa pruriginosa sensazione di oddio se è così sconvolgente lo devo assolutamente leggere ORA!, vi saluto, augurando a tutti un lungo, ozioso e ventoso sabato!

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