giovedì 3 marzo 2016

Le Rane, Mo Yan

Attraverso la penna del nipote Girino, all'impresa con un'opera teatrale sulla vita della zia, le straordinarie peripezie dell'ostetrica Wan Xin, la quale, da dea della fertilità della zona a nord- est di Gaomi, villaggio della Cina rurale, diviene l'inflessibile esecutrice della politica del Partito, che durante il boom demografico predispone un severissimo controllo delle nascite.
Ingaggiando una tenace lotta a colpi di propaganda e cacce all'uomo ( in questo caso, alla gestante) negli stessi territori che, dapprima, l'avevano venerata per la sua sapienza e le sue mani ferme, Wan Xin finisce, in breve, coll'attirare su di sé il rifiuto e il disprezzo dei villani, dai quali viene poi tacciata alla stregua di demone, portatore di sterilità e aborto.
Una storia che parla della maternità: come solo, apprezzabile valore delle giovani contadine; come meta da perseguire per potersi realizzare in quanto donne; come eredità per famiglie e padri il cui unico patrimonio è tramandare la terra che coltivano, nonché come garanzia per poter ottenere almeno la discendenza del proprio nome; maternità come tradizione; come frutto delle stagioni, prodotto di cicli di abbondanza e carestie; come strumento politico, ma soprattutto, maternità come pulsione e desiderio di diventare ed essere madre.
Il romanzo si apre dipingendo l'intimo ritratto di una campagna cinese vasta, storica, sulla quale le epoche s'avvicendano plasmando la mentalità, il linguaggio, lo stile di vita, la fede degli uomini che la abitano; e la sua storicità viene sia contenuta che riflessa nelle vicende di un villaggio, poi di una famiglia, infine, nel punto di vista di due outsider, Girino e Wan Xin. Man mano che i personaggi si lasciano alle spalle giovinezza e luoghi d'origine, la narrazione diventa sempre più drammatica, i toni sempre più teatrali, e ne spicca la natura contrastante, fatta di modernità commista a strascichi di tradizione, che pesano come una paranoia, come un mito divorante, risultando, in ultima analisi, assai lontani dall'antica saggezza buddhista, qui impersonata soltanto dall'artista Hao Dashou, marito di Wan Xin, figura silente, dalla saggezza misteriosa. Un totem, in realtà, che prima trae in salvo Wan Xin dal soccombere ai sensi di colpa e alla solitudine, poi la ricongiunge alle anime dei bambini mai nati, e, di conseguenza, a se stessa, attraverso la creazione delle loro statue.
In questo romanzo, inestricabilmente in relazione fra loro, verità e leggenda, vergogna e sublime, corrispondenza e copione, senso di colpa ed espiazione, Girino e la zia.

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